Riforma voucher: soluzioni diversificate per imprese e professionisti

ministero_lavoroIl Governo è alla ricerca di soluzioni per il lavoro accessorio e occasionale dopo l’abrogazione dei Voucher. Il Ministro del Lavoro, rispondendo a tre interrogazioni parlamentari, ha dichiarato che l’intenzione è quella di individuare per imprese e professionisti, con il concorso delle parti sociali, “particolari esigenze settoriali meritevoli di soluzioni specifiche”. In tale ottica il Governo sembra intenzionato a tenere divise le esigenze dei datori di lavoro domestico dalle esigenze delle imprese e dei professionisti, con soluzioni mirate per i datori di lavoro di piccole dimensioni.

Al vaglio nuove forme di regolamentazione
Il Ministro del Lavoro, rispondendo il 5 aprile 2017 a tre interrogazioni parlamentari, ha infatti confermato che la decisione del Governo di abrogare con il decreto-legge n. 25 del 2017 la disciplina del lavoro accessorio deriva dalla situazione determinatasi con la richiesta di referendum e dalla scelta di evitare un confronto referendario fortemente ideologico, su un tema che richiede un approccio più sereno e approfondito. In questa ottica, il Governo intende “attivare rapidamente un confronto con le parti sociali interessate, al fine di individuare tempestivamente nuove forme di regolamentazione delle prestazioni di lavoro accessorio e occasionale. Tenendo conto degli elementi riscontrati dal monitoraggio sopra riferito, si potranno individuare, in primo luogo, soluzioni diversificate per famiglie e imprese, in ragione dell’evidente e diversa natura delle domande. Per quanto riguarda, in particolare, le imprese e i professionisti, col concorso delle parti sociali potranno poi essere individuate particolari esigenze settoriali meritevoli di soluzioni specifiche”.

Alternative
Pur al netto dell’uso distorto e inappropriato che di voucher si è fatto in questi ultimi anni, la loro subitanea soppressione ha lasciato del tutto scoperti i committenti che hanno effettive esigenze di sopperire a impreviste o, comunque, transitorie esigenze di prestazioni lavorative.
– Il contratto a termine, seppure innovato e semplificato dal Dlgs. n. 81/2015 poco si presta, infatti, a esigenze di breve durata e ripetitive, se non per quei speciali servizi, di durata non superiore a tre giorni, nel settore del turismo e dei pubblici esercizi nei casi individuati dai contratti collettivi (anche aziendali). Questa tipologia contrattuale, particolarmente utile in occasione di festività, matrimoni, ecc. ha perso quello che era il vantaggio che la contraddistingueva ossia la comunicazione successiva alla prestazione (fatto che consentiva indubbiamente abusi) e deve, ora, essere anch’essa comunicata entro il giorno antecedente l’instaurazione del rapporto. In compenso sfugge ai limiti numerici e di rinnovo ed è, tuttora un bacino interessante a cui accedere per le esigenze extra dei pubblici esercizi e del turismo.
– Il contratto di somministrazione che ha il vantaggio di mantenere la titolarità del rapporto di lavoro in capo all’agenzia di somministrazione, su cui gravano gli oneri burocratici, amministrativi e gestionali ma che, anche per questo motivo ha un qualche costo aggiuntivo rispetto al contratto di lavoro instaurato direttamente con il lavoratore.
– Contratti di lavoro autonomo, difficile l’utilizzo, in base ai limiti posti dall’art.3 del Dlgs. n. 81/2015 alla stipula del contratto di collaborazione coordinata e continuativa che deve essere svolto in autonomia dal collaboratore, anche con riferimento agli orari ed ai luoghi di lavoro. Utilizzare il lavoro autonomo occasionale, poi, apre la strada a possibili contestazioni di attività lavorativa svolta “in nero” poiché è considerata tale quella svolta senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro privato, con esclusione del datore di lavoro domestico.
– Il contratto di lavoro intermittente o “a chiamata”, vera alternativa, quel contratto di lavoro subordinato stipulato, a tempo indeterminato o a termine, con un lavoratore che viene, appunto, “chiamato” a rendere la prestazione quando il datore di lavoro lo reputa necessario. Se il lavoratore si impegna formalmente a presentarsi al lavoro quando richiesto, ha diritto ad una indennità mensile fissa, se, invece, è libero di presentarsi o meno, verrà retribuito per le ore o le giornate di lavoro prestate.La legge prevede, però, limiti all’instaurazione di questo contratto discontinuo, che deve essere previsto dal contratto collettivo applicato o, in mancanza, dal decreto che stabilisce in quali settori e per quali attività è consentito. Fuori da questi casi, il contratto è sempre possibile con soggetti con meno di 24 anni di età (purché le prestazioni siano svolte entro il 25° anno) e con soggetti con più di 55 anni di età. Inoltre, al difuori dei settori del turismo e dei pubblici esercizi non si possono superare le 400 giornate lavorate nel triennio.Per evitare gli abusi, è altresì prevista la comunicazione preventiva della ripresa dell’attività. Infine, non è da sottovalutare il costo di un’ora di lavoro con questo contratto, che è a tutti gli effetti un contratto di lavoro subordinato.
Ipotesi di riforma
Fra le ipotesi che circolano in questi giorni sembra vi sia un allargamento delle casistiche che consentono l’utilizzo del lavoro intermittente ed una qualche semplificazione amministrativa.
Il Governo sembra intenzionato a tenere divise le esigenze dei datori di lavoro domestico da quelle delle imprese e dei professionisti che potrebbero essere destinatari di una rivisitazione del lavoro “a chiamata” che tenga conto delle dimensioni aziendali.
Per i datori di lavoro di piccole dimensioni la gestione del contratto potrebbe essere demandata ad una piattaforma presso l’INPS, come già avviene ( o avveniva) per i voucher, assicurandone anche la tracciabilità.