Lavoro dipendente prestato all’estero – determinazione della base imponibile contributiva

post-3Con la sentenza 6.9.2016 n. 17646, la Corte di Cassazione ha affermato che i contributi dovuti da una società italiana per l’attività svolta da un dipendente in distacco presso una consociata negli Stati Uniti devono essere calcolati prendendo a riferimento le retribuzioni effettivamente corrisposte, e non con il criterio convenzionale.


Ciò in quanto:
– l’art. 51 co. 8-bis del TUIR, concernente la determinazione del reddito di lavoro dipendente prestato all’estero sulla base delle retribuzioni convenzionali di cui al DL 317/87 (conv. L. 398/87), opera esclusivamente a fini fiscali, senza incidere, in ambito previdenziale, sulla determinazione della base imponibile ai fini contributivi;
– in quest’ultimo ambito, il ricorso alle retribuzioni convenzionali per il calcolo dei contributi dovuti per i lavoratori italiani operanti all’estero in un Paese extracomunitario discende dalla mancanza di un accordo di sicurezza sociale tra l’Italia e il suddetto Paese; accordo, invece, vigente tra l’Italia e gli Stati Uniti.

RETRIBUZIONI CONVENZIONALI
Le retribuzioni convenzionali sono state introdotte, in ambito previdenziale, dall’art. 4 del citato DL 317/87.
Quest’ultimo, al fine di tutelare il lavoratore italiano inviato all’estero in Paesi con i quali l’Italia non abbia stipulato una convenzione di sicurezza sociale, ne ha previsto l’obbligo di iscrizione, indipendentemente da quanto disposto dalla legislazione locale, ad una serie di assicurazioni (IVS, disoccupazione involontaria, infortuni, malattia, maternità), individuando come base imponibile contributiva le retribuzioni convenzionali fissate, annualmente, da un apposito DM.
Le suddette retribuzioni devono, dunque, essere utilizzate per calcolare i contributi dovuti per i lavoratori operanti in:
– paesi extracomunitari non convenzionati;
– ovvero Paesi convenzionati, limitatamente alle assicurazioni non contemplate dalle convenzioni.

Dal 2001, le retribuzioni convenzionali hanno assunto rilevanza anche in ambito fiscale, dovendo essere utilizzate per determinare il reddito di lavoro dipendente ex art. 51 co. 8-bis del TUIR, in caso di lavoro prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti fiscalmente residenti in Italia che, nell’arco di 12 mesi, soggiornino nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, in luogo delle retribuzioni effettivamente erogate.

PRECEDENTE GRADO DI GIUDIZIO
Nel caso di specie, la pretesa dell’INPS di calcolare i contributi dovuti dal datore di lavoro, nel periodo 2001 – 2004, per il proprio dipendente distaccato negli Stati Uniti sulla base delle retribuzioni effettive, anziché in base al regime convenzionale, era stata ritenuta infondata dalla Corte d’Appello.
Il giudice di merito, infatti, aveva sostenuto che l’art. 51 co. 8-bis del TUIR, in linea con il principio di armonizzazione di cui alla delega contenuta nell’art. 3 co. 19 della L. 662/96 (attuata dal DLgs. 314/97), avesse inteso definire, mediante l’espresso richiamo alle retribuzioni convenzionali previste dall’art. 4 del DL 317/87, una disciplina unitaria della determinazione della base imponibile sia in ambito fiscale che in ambito previdenziale.

ESCLUSIONE DELL’OPERATIVITÀ DELL’ART. 51 CO. 8-BIS DEL TUIR IN AMBITO PREVIDENZIALE
Discostandosi dalle conclusioni della Corte d’Appello, nella sentenza in commento la Corte di Cassazione osserva che, in base alla delega sopra richiamata, l’equiparazione della definizione di reddito di lavoro dipendente ai fini fiscali e previdenziali deve essere operata, per espressa previsione di legge, solo “ove possibile”, occorrendo esaminare di volta in volta la compatibilità con il sistema previdenziale delle modifiche introdotte a livello fiscale.
Nel caso del co. 8-bis dell’art. 51 del TUIR, detta compatibilità deve essere esclusa, in quanto:
– tale comma introduce il discrimine temporale dei 183 giorni, legato al concetto di “residenza fiscale” delle persone fisiche ex art. 2 co. 2 del TUIR, ma privo di significato se trasposto nel campo previdenziale, nel quale il concetto di “residenza” non rileva;
– ritenere detta disposizione operante ai fini previdenziali determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento tra i lavoratori assoggettati al regime previdenziale italiano che soggiornino all’estero per periodi superiori o inferiori a quello indicato, nonché una compressione delle entrate pubbliche, a danno anche della posizione previdenziale dei dipendenti.

BASE IMPONIBILE CONTRIBUTIVA IN CASO DI LAVORO IN PAESI EXTRA-COMUNITARI
Sancita l’irrilevanza dell’art. 51 co. 8-bis del TUIR sul piano previdenziale, la Suprema Corte precisa, quindi, che, in quest’ultimo ambito, in caso di lavoratori italiani operanti in Paesi extracomunitari, occorre verificare la sussistenza, o meno, di un accordo di sicurezza sociale, in quanto:
– in caso di Paesi non convenzionati, l’art. 4 del DL 317/87 prevede, per il lavoratore, una tutela assicurativa minima garantita, dispondendo che il calcolo dei contributi venga effettuato su retribuzioni convenzionali;
– ove, invece, come nel caso di specie, vi siano accordi che consentano il mantenimento della copertura assicurativa in Italia in deroga al criterio della territorialità, i datori di lavoro devono assumere come parametro per la determinazione della base imponibile le retribuzioni effettivamente corrisposte ai lavoratori all’estero.


Questa notizia è curata dalla redazione dello Studio Luisa Mariani, consulente del lavoro con sede in Lissone.
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